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restauro materiali lapidei

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Può capitare che un’ Impresa edile dovendo ristrutturare o intervenire su un edificio, si trovi nella necessità di dover intervenire su elementi lignei o in marmo di una certa importanza, come soffitti a cassettone o portali in marmo. L’impresa  si trova quindi nella necessità di affrontare problemi legati al restauro edilizio. Di seguito vengono esposte quelle che sono le operazioni fondamentali per eseguire una corretta pulitura di una portale in marmo che presenta elementi architettonici importanti come colonne, capitelli, inserti con figure.

Pulitura materiali lapidei.

GENERALITA’

Prima di eseguire le operazioni di pulitura e opportuno attenersi a delle specifiche procedure al fine di salvaguardare l’integrità del materiale e, allo stesso tempo, prepararlo in modo da garantire l’efficacia, più o meno incisiva, dell’intervento.

Le operazioni preliminari comprendono:

– analisi puntuale e dettagliata della consistenza dei materiali da pulire al fine di avere un quadro esplicativo relativo alla loro natura, compattezza ed inerzia chimica;

– analisi dei prodotti di reazione, cosi da poter identificare la loro effettiva consistenza, la natura e la reattività chimica;

– esecuzione delle prove prescelte su campioni di materiale;

– analisi dei risultati ottenuti sulla superficie campione prima di estendere le operazioni di pulitura a tutta la superficie.

Lo scopo che ogni operazione di pulitura, indipendentemente dal sistema prescelto, deve prefiggersi e quello di asportare dalla superficie ogni tipo di deposito incoerente, in particolar modo quelli che possono proseguire il deterioramento del materiale. La facilita o difficoltà dell’asportazione e, di conseguenza, il ricorso a metodologie più o meno aggressive, dipende strettamente dalla natura del deposito stesso:

– depositi incoerenti (particellato atmosferico terroso o carbonioso) che non risultano coesi con il materiale o derivati da reazione chimica, depositati per gravità, o perchè veicolati dalle acque meteoriche o di risalita (efflorescenze saline);

– depositi incoerenti (particelle atmosferiche penetrate in profondità, sali veicolati dall’acqua di dilavamento ecc.) che tendono a solidarizzarsi alla superficie del materiale tramite un legame meccanico, non intaccando, pero, la natura chimica del materiale;

– strato superficiale derivato dalla combinazione chimica delle sostanze esterne (volatili o solide) con il materiale di finitura; i prodotti di reazione che ne derivano sono, ad esempio, le croste (prodotti gessosi) e la ruggine (ossidi di ferro).

La rimozione dei depositi incoerenti presenti sul materiale che, a differenza delle croste, non intaccano la natura chimica del materiale, potrà essere eseguita ricorrendo a dei sistemi meccanici semplici, facili da applicare come ad esempio: stracci, spazzole di saggina, scope, aspiratori ecc. integrati, dove il caso specifico lo richiede, da bisturi, piccole spatole e lavaggi con acqua; invece nel caso in cui si debbano asportare depositi solidarizzati con il materiale, sarà conveniente ricorrere a dei cicli di pulitura più consistenti come, ad esempio, tecniche di pulitura a base d’acqua, pulitura con impacchi acquosi o con sostanze chimiche, pulitura meccanica, pulitura mediante l’uso di apparecchi aeroabrasivi, sabbiatura controllata ecc.

Ogni qualvolta si utilizzeranno sistemi di pulitura che implicheranno l’uso di considerevoli quantitativi d’acqua (spray di acqua a bassa pressione, idropulitura, acqua nebulizzata, acqua atomizzata ecc.) dovrà essere pianificato in sede di cantiere, prima di procedere con l’intervento, il sistema di raccolta e di convogliamento del liquido e dovrà essere prevista la protezione (mediante l’utilizzo di teli impermeabili) delle parti che, non essendo interessate dall’operazione di pulitura (serramenti, vetri ecc.), potrebbero essere danneggiate durante la procedura.

Ogni procedura di pulitura, in special modo se caratterizzata dall’utilizzo di prodotti specifici anche se prescritti negli elaborati di progetto, dovrà essere preventivamente testata tramite l’esecuzione di campionature eseguite sotto il controllo della D.L.; ogni campione dovrà, necessariamente, essere catalogato ed etichettato; in ogni etichetta dovranno essere riportati la data di esecuzione, il tipo di prodotto e/o le percentuali dell’impasto utilizzato, gli eventuali solventi e di conseguenza il tipo di diluizione (se si tratterà di emulsioni, ovverosia miscele di due liquidi, rapporto volume/volume) o di concentrazione (se si tratterà di soluzioni, cioè scioglimento di un solido in un liquido, rapporto peso/volume) utilizzati, le modalità ed i tempi di applicazione.

PULITURA MANUALE O MECCANICA (SPAZZOLE, BISTURI, SPATOLE ECC.)

La pulitura manuale o meccanica di superfici lapidee, comprende una serie di strumenti specifici il cui impiego e in stretta relazione al grado di persistenza delle sostanze patogene che si dovranno

asportare. La pulitura meccanica consentirà la rimozione di scialbature, depositi ed

incrostazioni più o meno aderenti alla superficie; a tal fine si potrà ricorrere a strumenti di vario

tipo partendo dai più semplici come: spazzole di saggina o di nylon, bisturi, piccole spatole

metalliche, sino ad arrivare ad utilizzare apparecchiature meccanizzate più complesse di tipo

dentistico che, alimentate da un motore elettrico o pneumatico, consentiranno la rotazione di

un utensile come ad esempio: microspazzolini in fibre vegetali o nylon (per asportare depositi

più o meno aderenti), microfrese (atte all’asportazione di incrostazioni dure e di modeste

dimensioni), micromole in gomma abrasiva (ovviano l’inconveniente di lasciare tracce da

abrasione grazie al supporto relativamente morbido), microscalpelli su cui si monteranno punte

al vidia di circa 5 mm di diametro (adatti per la rimozione di depositi calcarei), vibroincisori,

apparecchi che montano punte a scalpello o piatte con diametro di circa 2-3 mm (eliminano

incrostazioni molto dure e coese come scialbi, stuccature cementizie ecc.).

In presenza di stuccature cementizie, o in casi analoghi, si potrà procedere alla loro

asportazione ricorrendo all’uso di un mazzuolo e di uno scalpello (unghietto); considerato

l’impatto che potrà avere l’intervento sul materiale, si consiglia di effettuare l’operazione in

maniera graduale in modo da poter avere sempre sotto controllo l’intervento.

Avvertenze:

Questo tipo di pulitura potrà produrre variazioni morfologiche superficiali in funzione della

destrezza dell’operatore e delle condizioni conservative della superficie, mentre saranno

assenti variazioni del colore delle superfici trattate da tale procedura.

PULITURA MEDIANTE IMPACCHI

Le argille assorbenti, come la seppiolite e l’attapulgite, sono dei silicati idrati di magnesio,

mentre la polpa di cellulosa e una fibra organica ottenuta da cellulose naturali (disponibile in

fibre di lunghezza variabile da 40 a 1000 μ); mescolate insieme all’acqua, questo tipo di

sostanze, sono in grado di formare una sorta di fango capace di esercitare, una volta a contatto

con le superfici lapidee e opportunamente irrorato con acqua (o con sostanze chimiche),

un’azione, di tipo fisico, di assorbimento di liquidi in rapporto al proprio peso. La pulitura

mediante impacchi assorbenti risulterà vantaggiosa, oltrechè per l’asportazione dei sali solubili,

per la rimozione, dalle superfici lapidee, di strati omogenei di composti idrosolubili o poco

solubili (come croste nere poco spesse, di circa 1 mm), macchie originate da sostanze di natura

organica, strati biologici (batteri, licheni e algali). Gli impacchi, inoltre, sono capaci di ridurre le

macchie di ossidi di rame o di ferro. Il vantaggio del loro utilizzo risiede anche nella possibilità di

evitare di applicare direttamente sulla superficie sostanze pulenti (in special modo quelle di

natura chimica) che, in alcuni casi, potrebbero risultare troppo aggressive per il substrato. La

tipologia d’impacco dipenderà dal grado di persistenza e dalla solvenza dello sporco da

rimuovere, ma si deve tenere presente che gli impacchi non risulteranno particolarmente adatti

per asportare croste spesse e, in caso di materiali porosi e/o poco coesi, sarà opportuno, al fine

di non rendere traumatica l’operazione d’asportazione, interporre sulla superficie carta

giapponese o klinex. Potrà essere conveniente, prima di applicare l’impacco, operare lo

“sgrassamento” e la rimozione d’eventuali incerature superficiali ricorrendo a solventi come

acetone, cloruro di metilene ecc. e, dove risulterà possibile, effettuare un lavaggio con acqua

(deionizzata o distillata) in modo da asportare i depositi meno coerenti ed ammorbidire gli

strati carboniosi più consistenti. In presenza di efflorescenze si dovrà provvedere alla loro

asportazione meccanica tramite lavaggio con acqua deionizzata e spazzolino morbido prima di

procedere con l’operazione.

In linea generale si deve preferire basse concentrazioni con conseguenti tempi di applicazione

piu lunghi rispetto ad impacchi con soluzioni elevate con tempi di applicazione brevi.

PULITURA MEDIANTE IMPACCHI ASSORBENTI A BASE DI  SOSTANZE CHIMICHE

In presenza di sostanze patogene particolarmente persistenti (croste poco solubili) gli impacchi

potranno essere additivati con dosi limitate di sostanze chimiche, in questo caso l’operazione

dovrà essere portata a compimento da personale esperto che prima di estendere il

procedimento a tutte le zone che necessiteranno dell’intervento, eseguirà delle limitate

tassellature di prova utili a definire, con esattezza, i tempi di applicazione e valutare i relativi

effetti. Le sostanze chimiche, a base di solvente o di sospensioni ad azione solvente, con le quali

si potranno adittivare gli impacchi dovranno avere una limitata tossicità, bassa infiammabilità,

adeguata velocità di evaporazione e una composizione pura. Un solvente troppo volatile non

riuscirà a soluzionare in tempo il deposito cosi come un solvente con alto punto d’evaporazione

ristagnerà sulla superficie. Si potrà ricorrere a prodotti basici o a sostanze detergenti quali

saponi liquidi neutri non schiumosi diluiti nell’acqua di lavaggio. Le sostanze a reazione alcalina

più o meno forte (come l’ammoniaca, i bicarbonati di sodio e di ammonio) saranno utilizzate

soprattutto per saponificare ed eliminare le sostanze grasse delle croste a legante organico e, in

soluzione concentrata, saranno in grado di attaccare incrostazioni scure spesse e scarsamente

idrosolubili. I detergenti saranno in grado di diminuire la tensione superficiale dell’acqua

incrementandone, in questo modo, l’azione pulente; l’utilizzo dei detergenti consentirà di

stemperare le sostanze organiche (oli e grassi), di tenere in sospensione le particelle di depositi

inorganici non solubilizzati o disgregati, di compiere un’azione battericida presentando il

vantaggio di poter essere asportati insieme allo sporco senza lasciare alcun residuo.

Il tempo di contatto potrà variare secondo i casi specifici: nel caso in cui la DL riterrà opportuno

prolungarlo nel tempo (sulla base di prove preventive su tasselli di materiale campione), si

dovrà provvedere alla copertura dell’area interessata con fogli di polietilene in modo da

impedire l’evaporazione dell’acqua presente nel composto. Una volta rimosso il composto, si

dovrà procedere alla pulitura con acqua deionizzata aiutata, se si riterrà necessario, con una

leggera spazzolatura.

- Pulitura mediante impacchi assorbenti a base di Carbonato e Bicarbonato d’Ammonio

Il carbonato e il bicarbonato di ammonio (veicolati nella maggior parte dei casi con impacchi di

polpa di cellulosa) sono sali solubili in acqua, ai quali si potrà ricorrere in percentuali che

varieranno da 5% a 100%, secondo i casi; potranno essere utilizzati sia da soli che in composti e,

non di rado, a questa tipologia di impacchi si potranno aggiungere resine a scambio ionico con

effetto solfante applicate in seguito a miscelazione con acqua demineralizzata in rapporto

variabile, in base alla consistenza finale che si vorrà ottenere per effettuare il trattamento (i

tempi di applicazione sono, anche in questo caso, da relazionarsi ad opportuni test preventivi).

Il carbonato e il bicarbonato di ammonio decompongono spontaneamente originando prodotti

volatili (di norma questi sali risulteranno attivi per un lasso di tempo di circa 4-5 ore), la

liberazione di ammoniaca conferirà al trattamento proprietà detergenti, mentre l’alcalinità

(maggiore per il carbonato che per il bicarbonato) consentirà una graduale gelificazione di

materiale di accumulo e vecchie patine proteiche e lipidiche, consentendone la rimozione dalla

superficie. Questi sali eserciteranno, inoltre, un’azione desolfatante, riuscendo a trasformare il

gesso, eventualmente presente sul supporto, in solfato di ammonio più solubile e facilmente

asportabile con lavaggio acquoso. Se il materiale da asportare presenterà un’elevata

percentuale di gesso, la concentrazione in acqua del carbonato o bicarbonato dovrà essere di

tipo saturo (circa il 15-20% di sale in acqua deionizzata) mentre, per gli altri casi, basterà

raggiungere il pH necessario (9 per il carbonato, 8 per il bicarbonato) con soluzioni meno sature

(5-7% in acqua deionizzata). L’uso del bicarbonato d’ammonio (o di sodio) sarà sconsigliato nel

caso di interventi su materiali particolarmente degradati, specie per i marmi (nei quali si può

avere una facile corrosione intergranulare e decoesione dei grani di calcite superficiale) e per i

calcari sensibilmente porosi dove potrà incontrare difficoltà nel rimuovere i residui

dell’impacco. In presenza di efflorescenze visibili sarà utile un’anticipata rimozione meccanica

delle stesse, allo scopo di evitare la loro solubilizzazione e conseguente compenetrazione in

seguito alla messa in opera dell’impacco.

Esempi di impasti: un impasto base per la rimozione di patine tenaci, fissativi o pitturazioni

eseguite con colori più o meno resistenti sarà composto da:

– polpa di cellulosa a fibra media-grossa (tipo Arbocell 200-600 μ, meta della quantità di

polpa di cellulosa potrà essere sostituita con Sepiolite);

– carbonato di ammonio al 20-25% (soluzione satura e acqua deionizzata in rapporto 1:2),

in alternativa si potrà utilizzare bicarbonato di ammonio in opportuna diluizione.

La validità dell’impacco dovrà, in ogni caso, essere testata preventivamente su tasselli campione,

indicativamente il tempo di contatto potrà variare tra i 10 e i 45 minuti. La

concentrazione della sostanza attiva non dovrà essere molto alta cosi da garantire all’impacco

un’azione prolungata nel tempo e in profondità. Per pitturazioni eseguite con colori poco

resistenti o delicati potrà essere utilizzata polpa di cellulosa con fibre corte (0-40 μ) o

carbossimetilcellulosa (cosi da formare un impasto semitrasparente morbido e pennellabile)

abbassando i tempi di applicazione (che potranno oscillare dai 5 ai 20 minuti) cosi da evitare

che l’impacco agisca troppo in profondità ed eserciti solo azione pulente in superficie. In

presenza di pigmenti deboli potrà essere necessario sostituire il carbonato con il bicarbonato di

ammonio con l’eventuale riduzione delle concentrazioni e dei tempi di contatto (potranno

essere sufficienti anche solo pochi minuti).

Orientativamente impacchi realizzati con polpa di cellulosa a macinazione medio-grossa (200-

1000 μ) verranno impiegati con tempi di contatto relativamente lunghi (10-60 minuti) e con

sostanza attiva (carbonato o bicarbonato di ammonio) in basse concentrazioni cosi da dar

modo all’impacco di adire più a lungo e più in profondità. Impacchi, invece, realizzati con grana

fine o finissima (00-200 μ) verranno impiegati con tempi di contatto più rapidi (5-20 minuti) e

con sostanza attiva in bassa diluizione oppure in soluzione satura, cosi da evitare all’impacco di

agire troppo in profondità garantendo una pulitura più delicata.

Avvertenze:

L’applicazione degli impacchi chimici dovrà essere fatta dal basso verso l’alto in modo da

ovviare pericolosi ed incontrollabili fenomeni di ruscellamento e al fine di ogni applicazione si

procederà all’asportazione di ogni traccia di sostanza chimica ricorrendo sia ad un accurato

risciacquo manuale con acqua deionizzata sia, se indicato dalla scheda tecnica del prodotto,

all’ausilio di apposite sostanze neutralizzatrici. I vantaggi degli impacchi, indipendentemente

dalla tipologia, risiedono nella loro non dannosità, nel basso costo (le argille sono riutilizzabili

previo lavaggio in acqua) e nella facilità di messa in opera, non solo ma se si userà una miscela

di polpa di cellulosa più argille assorbenti (in rapporto 1:1) si potranno sfruttare le

caratteristiche migliori di entrambe (l’impacco che ne deriverà si presenterà morbido e

malleabile tale da permettere l’applicazione sulle zone interessate senza cadute di materiale o

percolazione di liquido in eccesso sulle zone limitrofe); per contro gli svantaggi sono la lentezza

dell’operazione e la loro relativa non controllabilità.

Stuccatura di elementi lapidei.

Lo scopo dell’intervento sarà quello di colmare le lacune e le discontinuità (parziale mancanza

di giunti di malta, fratturazione del concio di pietra ecc.) presenti sulla superficie della pietra

(qualsiasi sia la loro origine) cosi da “unificare” la superficie ed offrire agli agenti di degrado

(inquinanti atmosferici chimici e biologici, nonchè infiltrazioni di acqua) un’adeguata resistenza.

Previa esecuzione delle operazioni preliminari di preparazione (asportazione di parti non

consistenti e lavaggio della superficie) e bagnatura con acqua deionizzata, si effettuerà

l’applicazione dell’impasto in strati separati e successivi secondo la profondità della lacuna da

riempire: per le parti più arretrate sarà consigliabile utilizzare una malta a base di calce idraulica

naturale NHL 2 a basso contenuto di sali composta seguendo le indicazioni di progetto e la

tipologia di lapideo (ad es. si utilizzeranno, preferibilmente, delle cariche pozzolaniche su

materiali di natura vulcanica e degli inerti calcarei se si opererà su pietre calcaree); in assenza di

queste si potrà utilizzare, un impasto caricato con una parte di sabbia silicea lavata

(granulometria costituita da granuli del diametro di circa 0,10-0,30 mm per un 25%, di 0,50-

1,00 mm per un 30% e di 1,00-2,00 mm per il restante 45%) ed una parte di cocciopesto; in

alternativa al cocciopesto si potrà utilizzare pozzolana ventilata (rapporto legante-inerte 1:3).

La stuccatura si eseguirà utilizzando piccole spatole a foglia o cazzuolini, evitando con cura di

intaccare le superfici non interessate (sia con la malta sia con gli attrezzi); si potranno,

eventualmente, mascherare le superfici limitrofe utilizzando nastro di carta. Nel caso occorra

preparare una malta particolarmente resistente a compressione si potrà ricorrere all’utilizzo di

piccole quantità di cemento bianco esente da gesso e sali solubili; le eventuali quantità

dovranno essere limitate in quanto il cemento bianco presenta notevoli ritiri in fase di presa (un

sovradosaggio porterebbe a delle malte di eccessiva durezza, ritiro e scarsa permeabilità al

vapore acqueo).

La stuccatura di superficie sarà eseguita con grassello di calce (sarà necessario utilizzare

grassello ben stagionato, minimo 12 mesi; se non si avrà certezza sulla stagionatura si potrà

aggiungere un minimo quantitativo di resina acrilica in emulsione); la carica dell’impasto sarà di

pietra macinata (meglio se triturata a mano cosi da avere una granulometria simile a quella del

materiale originale); verrà, preferibilmente, utilizzata la polvere della pietra stessa o, in

mancanza di questa, un materiale lapideo di tipologia uguale a quella del manufatto in

questione in modo da ottenere un impasto simile per colore e luminosità; potranno essere

utilizzate anche polveri di cocciopesto, sabbie silicee ventilate, pozzolana, o carbonato di calcio:

rapporto tra legante-inerte di 1:3 (per es. 1 parte grassello di calce; 1 parte pietra macinata; 2

parti di polvere di marmo fine). E’ consigliabile tenere l’impasto dello stucco piuttosto

asciutto in modo da favorire la pulitura dei lembi della fessura.

In alternativa si potranno effettuare stuccature di superficie invisibili utilizzando idoneo stucco

costituito da elastomeri florurati e polvere della stessa pietra o altra carica con caratteristiche e

granulometria simile (per maggiori dettagli si rimanda a quanto detto all’articolo sul fissaggio e

riadesione di elementi sconnessi e distaccati).

Specifiche sulla stuccatura.

La scelta di operare la stuccatura a livello o in leggero sotto-quadro nella misura di qualche

millimetro (cosi da consentirne la distinguibilità), dovrà rispondere principalmente a criteri

conservativi; sovente, infatti, le integrazioni sottolivello creano percorsi preferenziali per le

acque battenti innescando pericolosi processi di degrado. Gli impasti dovranno essere concepiti

per esplicare in opera valori di resistenza meccanica e modulo elastico inferiori a quelli del

supporto, pur rimanendo con ordini di grandezza non eccessivamente lontani da quelli del

litotipo.

Colore stuccatura

Al fine di rendere possibile un’adeguata lettura cromatica si potrà “aiutare” il colore

dell’impasto additivandolo con terre colorate e pigmenti (massimo 5% di pigmenti minerali o

10% di terre). Il colore della pietra si raggiungerà amalgamando, a secco, le cariche fino ad

ottenere il tono esatto ma più scuro per bilanciare il successivo schiarimento che si produrrà

aggiungendo la calce. Effettuate le miscele di prova si dovranno, necessariamente, trascrivere

le proporzioni e preparare dei piccoli campioni di malta su mattone o lastra di pietra, cosi da

poterli avvicinare alla superficie da stuccare per la verifica del tono finale. Per tutte quelle

stuccature che interesseranno porzioni di muro vaste potrà essere preferibile ottenere una

risoluzione cromatica in leggera difformità con la pietra originale.

Trattamento finale

A presa avvenuta, al fine di ottenere una stuccatura opaca, la superficie interessata verrà lavata

e/o tamponata (esercitando una leggera pressione) con spugna inumidita di acqua deionizzata,

cosi da compattare lo stucco, far emergere la cromia della punteggiatura ed eliminare eventuali

residui di malta.

Consolidamento materiali lapidei

GENERALITA’

Le procedure di consolidamento risultano essere sempre operazioni particolarmente delicate, e

come tali, necessitano di un attenta analisi dello stato di fatto sia dal punto di vista della

conservazione dei materiali sia del quadro fessurativo, cosi da poter comprendere a fondo e

nello specifico la natura del supporto e le cause innescanti le patologie di degrado; in

riferimento a queste analisi si effettuerà la scelta dei prodotti e delle metodologie di intervento

più idonee; ogni operazione di consolidamento dovrà essere puntuale, mai generalizzata; sarà

fatto divieto di effettuare qualsiasi procedura di consolidamento o, più in generale, utilizzare

prodotti, anche se prescritti negli elaborati di progetto, senza la preventiva esecuzione di

campionature pre-intervento eseguite sotto il controllo della D.L.; ogni campione dovrà,

necessariamente, essere catalogato ed etichettato; sull’etichetta dovranno essere riportati la

data di esecuzione, il tipo di prodotto e/o le percentuali dell’impasto utilizzato, gli eventuali

solventi e di conseguenza il tipo di diluizione o di concentrazione utilizzati, le modalità ed i

tempi di applicazione.

CONSOLIDAMENTO (RIAGGREGAZIONE) MEDIANTE SILICATO DI ETILE

Un buon consolidante per laterizi decoesi o pietre arenarie e silicatiche, da applicare su

superfici assolutamente asciutte, e il silicato di etile composto da esteri etilici dell’acido silicico:

monocomponente fluido, incolore, a bassa viscosità, si applicherà in solvente organico (ad es.

metil etil chetone), in percentuali (in peso) comprese fra 60% e 80%. Al fine di stabilire la

quantità di prodotto da utilizzare si renderanno necessari piccoli test da eseguirsi su superfici

campione; questi test serviranno, inoltre, da spia per determinare l’eventuale alterazione

dell’opacità della pietra e della sua tonalità durante e subito dopo il trattamento. In linea

generale si potrà utilizzare una quantità pari a 500-600 g/m2 per il consolidamento di

apparecchi in cotto e 300-400 g/m2 per superfici intonacate con malta di calce.

Il silicato di etile, precipitando a seguito di una reazione spontanea con l’umidità atmosferica,

libererà, come sottoprodotto, alcool etilico che evaporerà con i solventi impiegati nella

soluzione, pertanto l’uso di questo consolidante, presenterà il vantaggio di far si che, nella

pietra trattata, oltre all’acido silicico non rimangano altre sostanze che potrebbero in qualche

forma (ad esempio efflorescenze) danneggiare l’aspetto e soprattutto le caratteristiche del

materiale lapideo consolidato; la reazione si completerà nell’arco di 2 o 3 settimane in ragione

delle condizioni atmosferiche, della porosità del materiale, della sua natura e struttura chimica

ecc. Il trattamento potrà essere eseguito a pennello, a spruzzo mediante irroratori a bassa

pressione (massimo 0,5 bar), per percolazione, a tampone mediante spugne (nel caso di

manufatti modellati tipo le volute dei capitelli) o per immersione (esclusivamente per piccoli

manufatti mobili); la superficie da trattare andrà completamente saturata “sino a rifiuto”,

evitando pero eventuali accumuli di prodotto sulla superficie; nel caso in cui dopo il

trattamento il supporto rimanesse bagnato o si presentassero raccolte in insenature si dovrà

procedere a rimuovere l’eccedenza con l’ausilio di tamponi asciutti o inumiditi con acetone o

diluente nitro. Solitamente sarà sufficiente un solo ciclo di applicazione, ma se sarà necessario e

solo dietro specifica autorizzazione della D.L., sarà possibile ripetere il trattamento dopo 2 o 3

settimane.

Questo tipo di consolidante si rivelerà molto resistente agli agenti atmosferici e alle sostanze

inquinanti, non verrà alterato dai raggi ultravioletti e presenterà il vantaggio di possedere un

elevato potere legante (dovuto alla formazione di silice amorfa idrata) soprattutto nei confronti

di materiali lapidei naturali contenenti silice anche in tracce, quali arenarie, tufi, trachiti, ma

anche su altri materiali artificiali quali mattoni in laterizio, terracotte, intonaci, stucchi; risultati

positivi potranno essere ottenuti anche su materiali calcarei (ad es. pietra leccese, pietra di

Vicenza ecc.). Tale prodotto non risulta idoneo per il trattamento consolidante di superfici in

gesso o di pietre gessose.

La natura chimica dei silicati sarà tale per cui potranno esercitare soltanto un’azione

consolidante, ma non avranno alcun effetto protettivo nei riguardi dell’acqua, pertanto, al

trattamento di superfici esterne con un silicato, generalmente, si dovrà far seguire

l’applicazione di una sostanza idrorepellente, salvaguardando le caratteristiche di traspirabilità

e di permeabilità al vapore acqueo dei materiali lapidei, garantendo la conservazione nel

tempo, nel rispetto della loro fisicità (per maggiori dettagli sulle procedure di protezione si

rimanda agli articoli specifici).

Avvertenze:

Si rivelerà di fondamentale importanza non esporre le superfici da trattare all’irraggiamento del

sole ne procedere all’applicazione su superfici riscaldate dai raggi solari; sarà pertanto cura

degli operatori proteggere le superfici mediante opportune tende parasole; l’impregnazione

con silicato di etile sarà, inoltre, da evitare (se non diversamente specificato dagli elaborati di

progetto) nel caso in cui il materiale da trattare non sia assorbente, in presenza di temperatura

troppo alta (>25 °C) o troppo bassa (< 10 °C), con U.R. non superiore al 70% o se il manufatto

trattato risulti esposto a pioggia nelle quattro settimane successive al trattamento; pertanto in

caso di intervento su superfici esterne, si renderà necessaria la messa in opera di appropriate

barriere protettive.

Indicativamente per una soluzione contenente il 60% in peso di estere etilico dell’acido silicico

su supporti in medio stato di conservazione si potranno effettuare i seguenti consumi al metro

quadrato: intonaco da 0,3 a 0,5 l/m2; pietre porose e tufi da 0,5 a 2,5 l/m2; laterizi da 0,6 a 3,0

l/m2; pietre arenarie da 0,8 a 3,5 l/m2.

Operazioni di protezione dei materiali lapidei

GENERALITA’

Considerato l’impatto e il ruolo attribuito ai protettivi la loro scelta dovrà essere operata sulla

base dei risultati delle analisi di laboratorio realizzate su campioni di materiale; i provini

dovranno essere preservati così da essere in grado di valutare l’effettiva efficacia e la durata nel

tempo. Le campionature pre-intervento eseguite sotto il controllo della D.L. dovranno,

necessariamente, essere catalogate ed etichettate; su tale etichetta dovranno essere riportati

la data di esecuzione, il tipo di prodotto e/o le percentuali dell’impasto utilizzato, gli eventuali

solventi e di conseguenza il tipo di diluizione o di concentrazione utilizzato, le modalità ed i

tempi di applicazione.

La durata e l’inalterabilità del prodotto dipenderanno, principalmente, dalla stabilità chimica e

dal comportamento in rapporto alle condizioni igrotermiche e all’azione dei raggi ultravioletti.

L’alterazione dei composti, oltre ad essere determinante sulle prestazioni, potrà portare alla

composizione di sostanze secondarie, dannose o insolubili, che invalideranno la reversibilità del

prodotto.

APPLICAZIONE DI IMPREGNANTE IDROREPELLENTE

La procedura dovrà essere eseguita alla fine del ciclo di interventi previsti e solo in caso di

effettivo bisogno, su apparecchi murari e manufatti eccessivamente porosi esposti sia agli

agenti atmosferici, sia all’aggressione di umidità da condensa o di microrganismi animali e

vegetali.

L’applicazione si effettuerà irrorando le superfici dall’alto verso il basso, in maniera uniforme ed

abbondante fino a completa saturazione del supporto. Le mani da applicare dipenderanno dalla

capacita di assorbimento del supporto, in ogni caso non potranno essere inferiori a due

passaggi (consumo variabile da 0,2 a 1 l/m2). L’intervallo di tempo tra le varie applicazioni potrà

variare, fermo restando che la mano precedente sia stata completamente assorbita; di norma i

prodotti saranno applicati:

– a spruzzo, tramite l’utilizzo di apposite apparecchiature in grado di vaporizzare il liquido

messo in pressione manualmente o da pompa oleo-pneumatica;

– a pennello morbido o rullo sino a rifiuto, utilizzando i prodotti in soluzione particolarmente

diluita, aumentando gradualmente la concentrazione sino ad oltrepassare lo standard nelle

ultime mani. Sara utile alternare mani di soluzione delle resine (se in solvente) a mani di solo

solvente per ridurre al minimo l’effetto bagnato (per maggiori dettagli sulle tecniche

d’applicazione si rimanda a quanto detto nell’articolo sul consolidamento per impregnazione).

Se non diversamente specificato negli elaborati di progetto il trattamento protettivo dovrà

essere applicato su supporti puliti, asciutti, privi d’umidità e di soluzioni di continuità (fessure

superiori di 0,3 mm dovranno essere adeguatamente stuccate come da articoli specifici) a

temperature non eccessivamente alte, intorno ai 20 °C (possibilmente su apparecchi murari

non esposti ai raggi solari) al fine di evitare una brusca evaporazione dei solventi utilizzati. I

prodotti utilizzabili, di norma, dovranno possedere un basso peso molecolare ed un elevato

potere di penetrazione; buona resistenza all’attacco fisico-chimico degli agenti atmosferici;

buona resistenza chimica in ambiente alcalino; assenza d’effetti collaterali e di formazione di

sottoprodotti di reazione dannosi (produzione di sali); perfetta trasparenza ed inalterabilità dei

colori; traspirazione tale da non ridurre, nel materiale trattato, la preesistente permeabilità ai

vapori oltre il valore limite del 10%; dovranno risultare atossici.

Sara sempre opportuno, a trattamento avvenuto, provvedere ad un controllo (cadenzato nel

tempo) mirato a valutare la riuscita dell’intervento, cosi da verificarne l’effettiva efficacia.

La pluralità del potere idrorepellente sarà direttamente proporzionale alla profondità di

penetrazione all’interno dei materiali. Penetrazione e diffusione del fluido dipenderanno,

quindi, dalla porosità del materiale, dalle dimensioni e dalla struttura molecolare della sostanza

impregnante in relazione al corpo poroso (pesanti macromolecole ricche di legami incrociati

non attraverseranno corpi molto compatti e si depositeranno in superficie), dall’alcalinità del

corpo poroso, dalla velocità e catalisi della reazione di condensazione (prodotti fortemente

catalizzati possono reagire in superficie senza penetrare nel supporto).

Specifiche sui materiali

I protettivi più efficaci per materiali lapidei (naturali ed artificiali tipo intonaci e cotti)

apparterranno fondamentalmente alla classe dei composti organici (resine florurate, acrilsiliconiche e poliuretaniche) e dei composti a base di silicio; la scelta dovrà, necessariamente,

essere operata in relazione alle problematiche riscontrate, cosi come la quantità ottimale di

protettivo sarà determinabile in via sperimentale su superfici campione.

I prodotti utilizzabili per i trattamenti di protezione, di norma, dovranno possedere le seguenti

caratteristiche comprovate da prove ed analisi da eseguirsi in situ o in laboratorio:

a) basso peso molecolare ed elevato potere di penetrazione;

b) buona resistenza all’attacco fisico-chimico degli agenti atmosferici;

c) buona resistenza chimica in ambiente alcalino;

d) assenza di effetti collaterali e di formazione di sottoprodotti di reazione dannosi (produzione

di sali);

e) perfetta trasparenza ed inalterabilità dei colori;

f) traspirazione tale da non ridurre, nel materiale trattato, la preesistente permeabilità ai vapori

oltre il valore limite del 10%;

g) non tossicità;

h) reversibilità.

Normalmente un trattamento protettivo ha una durata massima di circa 5-6 anni, e, pertanto,

consigliabile programmare una attenta manutenzione ordinaria ogni 4-5 anni.